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L'ulivo dall'antichità ai giorni nostri

L'ulivo dall'antichità ai giorni nostri

L'ULIVO, PIANTA CHE NUTRE


L'Ulivo è la pianta centrale nella storia delle civiltà che si affacciano sul Mediterraneo. Columella, scrittore romano di agricoltura, nel suo «De Rustica» sosteneva che “Olea prima omnium arborum est” (I sec. D.c.), cioè, “L'Ulivo è il primo tra tutti gli alberi".


Sacro ad Atena (Minerva nel mondo romano), perché dono della dea agli uomini, ma anche raccolto ai confini del mondo da Ercole nel luogo che diventerà il bosco consacrato a Zeus, addirittura proveniente dal Paradiso Terrestre secondo una leggenda che lo vorrebbe nato sulla tomba di Adamo, seppellito sul monte Tabor, l’ulivo affonda le proprie radici nella storia stessa dell’umanità e il suo significato si intreccia con i racconti popolari, la mitologia, la poesia e la religione.


È una delle piante arboree da frutto più diffuse al mondo e di origine più antica. Proviene, secondo un’ipotesi accreditata, dall’area geografica compresa tra l’Asia Minore e l’Asia Centrale, dov’era presente più di seimila anni fa. Il terreno ideale per la crescita dell’ulivo è individuato nella “mezzaluna fertile”, cioè quella zona tra il Tigri e l’Eufrate che dispone di una particolare condizione climatica: estati calde e asciutte, ma spesso umide, e inverni miti e piovosi. L’albero di ulivo non richiede terreni profondi e ben si adatta ai terreni sassosi e terrazzati che guardano il mare.


Scoprite la sua storia in questo articolo in attesa di venirci a visitare al nostro Museo di Arte Olearia.


Preistoria

Ci sono tracce di olivicoltura sin dalla Preistoria. Nei pressi di Bologna sono stati ritrovate foglie fossili di oleastro (un tipo di piana di ulivo selvatico) risalenti al Terziario, mentre sulla  Riviera Francese, nei pressi di Mentone, noccioli di oliva risalenti al Paleolitico. In Spagna e in Puglia, alcuni reperti risalgono al Neolitico. Sul Lago di Garda ritrovamenti dell'Età del Bronzo testimoniano che l'ulivo era già presente nell’alimentazione umana.

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Da Creta al Mediterraneo

Testimonianze certe di antichissima coltivazione dell’ulivo nel bacino del Mediterraneo si trovano a Creta, risalenti all’età minoica. Nel 2000 a.C. è già presente in Egitto, mille anni dopo compare in Palestina. Tra l'IX e l’VIII secolo a.C. dai Fenici viene introdotto in tutta la Grecia, a Cartagine e in Cirenaica e, successivamente, gli stessi Fenici lo diffondono in Sicilia. Un secolo dopo raggiunge il Lazio, da dove progressivamente, grazie agli Etruschi, si espande nel centro e in alcune aree dell’Italia settentrionale.

 Le maggiori testimonianze sulla fioritura dell’olivicoltura si trovano in alcuni Paesi dell’oriente mediterraneo: Siria, Palestina, e non solo Creta. Qui sono stati rinvenuti rustici e mortai di pietra, alcuni risalenti a 5000 anni prima di Cristo, in cui la pasta veniva schiacciata a mano e poi posta su un filtro fatto di rami di ulivo, su cui veniva poggiata una pietra. Il liquido ottenuto veniva fatto decantare in vasche di pietra. La civiltà cretese deve la sua ricchezza proprio al commercio dell’olio. Nel palazzo di Cnosso sono state ritrovate gigantesche anfore ed enormi depositi per l’olio. Alcune tavolette di argilla parlano di frutteti e oliveti. 

È stato ritrovato anche un libro mastro dell’amministrazione del palazzo, che dà conto dei luoghi di produzione e di destinazione dell’olio prodotto, delle forme di pagamento e della qualità meno pregiata di olio, ricavata dalla sansa che veniva cotta nell’acqua bollente. I libri poi distinguono l’olio destinato all’uso alimentare da quello usato per scopi medici a quello infine destinato ai luoghi di culto.

Sempre a Cnosso, è stata rinvenuta la più antica rappresentazione iconografica che riguarda l’ulivo, raffigurato in un affresco risalente al 1400 a.C. Le navi di Creta erano per la maggior parte dirette in Egitto, dove l’olio veniva usato durante l’imbalsamazione dei defunti: nessuno poteva avvicinarsi agli dei dell’oltretomba se non aveva il corpo unto di olio d’oliva

A spiegare l’importanza dell’olio di oliva nell’antichità è anche il fatto che la luce nell’antichità dipendeva dall’olio che bruciava nelle lampade (il così detto olio lampante).

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Dalla Grecia a Roma

In Grecia l’olio non era meno importante. L’ulivo era ritenuto pianta sacra dedicata alla dea Minerva; Omero ci racconta come Ulisse avesse costruito il talamo nuziale con il legno dell’ulivo, mentre uomini e cavalli delle saghe omeriche traevano forza dall’effetto balsamico dell’olio. Ancora, sull’acropoli vi era un ulivo centenario venerato dagli ateniesi, poiché si credeva che la stessa Minerva lo avesse piantato: i suoi rami erano utilizzati per intrecciare ghirlande per gli eroi e l’olio estratto dalle drupe degli ulivi che ricoprivano le pendici del Partenone veniva offerto in premio ai vincitori dei giochi Panatenei.

 

Tra il VI e il IV secolo la diffusione intensiva dell’olivicoltura copre l’area centrale della penisola italica grazie alle navi dei fenici, l’ulivo è diffuso anche sulle monete dell’epoca. Un gigantesco ulivo millenario di Canneto Sabino è stato sottoposto all’analisi del Carbonio 14 che ne ha stabilito la nascita ai tempi di Anco Marzio, quarto re di Roma. 

 

La massima diffusione dell’olivicoltura nel bacino del Mediterraneo si deve ai romani. Non appena si stabilivano le legioni, venivano piantati ulivi, viti e grano. I romani si ungevano il corpo con l’olio per renderlo più vigoroso, mentre durante l’inverno era utilizzato dai soldati per proteggere la pelle dal freddo. Addirittura lo storico Polibio narra che la battaglia sul fiume Trebbia nel 218 a. C. fu vinta dai Cartaginesi contro i romani solo perché gli africani, prima dello scontro, si erano unti il corpo con l’olio d’oliva.  I romani, immersi nelle acque gelide del fiume, patirono il freddo più dei cartaginesi e persero la battaglia. 

 

Verso il 100 a.C. il commercio e la produzione di olio erano così diffusi che cominciarono a sorgere le prime corporazioni di oleari, sia in Grecia che a Roma. Plinio, che visse verso la metà del I sec. d.C., sosteneva che in Italia si commercializzasse il miglior olio al minor prezzo. Erano già avanzati gli studi sull’olivicoltura circa la natura del terreno, l’esposizione, il clima, la propagazione per talea o per innesto, la distanza da interporre tra albero e albero; c’era già una classificazione delle olive, c’erano già dei criteri prediletti per la frangitura delle drupe e per la conservazione ottimale dell’olio; addirittura si stabiliva che l’olio di oliva prodotto dalla frangitura di olive non ancora mature fosse migliore; si faceva infine già distinzione tra gli oli sapidi della Sabina e quelli leggeri della Liguria. 

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Dal Medioevo al Rinascimento

È proprio la caduta dell’Impero Romano a determinare in Italia una crisi nell’olivicoltura, che subisce il colpo definitivo con le invasioni barbariche. L’olio di oliva torna a essere una merce rara e pregiata, il cui consumo è riservato principalmente a un uso liturgico. Dal tardo Impero la storia del Mediterraneo volge verso un periodo di guerre tanto che intorno all’anno Mille l’olio diventa un bene rarissimo. Sono numerose le testimonianze di donazioni che avevano per oggetto l’ulivo da parte di Normanni e Longobardi: fra le tante quella dei Crociati che transitano da Bari nel 1189 e fanno dono alla basilica di San Nicola di 44 ulivi con l’impegno da parte dei monaci di tenere accesa nella chiesa una lampada fino al loro ritorno. 

Se l’ulivo riesce a sopravvivere al Medioevo e ad arrivare fino a noi, lo si deve all’opera degli ordini religiosi Benedettini e Cistercensi. Sono proprio le comunità monastiche che danno impulso all’agricoltura a partire dall’anno Mille, bonificano i terreni dalle acque e mettono a dimora nuove piante di vite e ulivo. A partire dal XII secolo, la pianta assume dignità e importanza di “coltura da reddito”. 

Ulivo e vite sono protagonisti nel Rinascimento. Il governo mediceo di Firenze sarà il primo in Italia a intuire l’importanza dell’olivicoltura. I Medici danno grande impulso a questa coltivazione, concedendo gratuitamente vaste estensioni di terreno collinare a patto che vi vengano piantati anche degli ulivi

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L'Olio durante l'Illuminismo

Il secolo XVIII è il secolo d’oro dell’olivicoltura nazionale: studi, trattati, produzioni incentivate e l’Italia è produttrice dei migliori oli. Nel 1830 papa Pio VII garantisce un premio in denaro per ogni ulivo piantato e curato sino all’età di diciotto mesi. L'olivicoltura comincia ad essere conosciuta anche all’estero. Russia, Inghilterra e Francia sono i maggiori importatori di olio italiano. La popolazione cresce, l'olio è presente in casa sia sulla tavola che per i vari usi quotidiani. Nell'industria l'olio viene richiesto soprattutto nei settori del tessile, della lana e del sapone. La coltura dell'ulivo diventa un ottimo investimento, e ne viene incentivata la produzione. Vengono bonificate intere aree del Meridione, per essere coltivate a ulivi a perdita d'occhio. 

Inoltre, l’olio viene usato anche come base per unguenti e creme e  viene consigliato per curare ogni tipo di malessere, dalle coliche alla stitichezza.

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L'Olio dall'Ottocento ai giorni nostri

Nel XIX secolo la coltivazione dell'ulivo si estende sempre di più: l'olio viene usato per le lampade, nell'industria sempre più fiorente e sulle tavole di una popolazione in crescita. 

Gli alberi d'ulivo vengono ritenuti sempre di più un solido investimento e l'olivicoltura incoraggiata. Dalla seconda metà del secolo, in seguito a un'epidemia che colpisce le piante, e a condizioni climatiche avverse in alcune zone dell'Italia meridionale gli ulivi vengono abbattuti e usati come legna.

La produzione cala e per diversi anni resta stazionaria. 

Dagli anni Trenta in avanti, grazie a leggi che promuovono l'olivicoltura in tutta Italia, la produzione di olio ricomincia a crescere, fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la cucina tradizionale italiana viene ritenuta troppo povera rispetto a quella d'oltreoceano, e il burro ritenuto più nobile dell'olio. La produzione di margarina aumenta e invade le tavole degli italiani. L'uso dell'olio d'oliva cala considerevolmente, perché non di moda. 

Finché verso gli anni ‘80, con la riscoperta di cibi più naturali e genuini, l'olio extravergine di oliva diventa di nuovo protagonista sulle tavole degli italiani, e la dieta mediterranea che si diffonde anche all'estero riporta l'olio evo al suo giusto splendore.

Nel Mediterraneo l’ulivo ha finito per costituire una dominante del territorio, oltre che, unitamente al frumento e alla vite, un simbolo della cultura, del costume e dell’economia: vi si produce, infatti, il 95% del raccolto mondiale, prime fra tutte la Spagna e l’Italia, ma anche Grecia, Turchia e Tunisia. Verso la metà del Novecento l’ulivo è giunto anche nelle Americhe, in Africa meridionale e in Estremo Oriente.

 

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